| BRUCE LEE«FROM THE  CHINESE HILLS AND SHORES,/
 WE STILL  LISTEN THE BRUCE LEE BATTLE CALL/
 BRUCE LEE, BRUCE LEE!»
 COSTRUZIONE DI UN EROE NAZIONALE  ATTRAVERSO IL CINEMA
 
		    
		   Bruce Lee
«From the chinese hills and shores,/
we still listen the Bruce Lee Battle call/
Bruce Lee, Bruce Lee!»
Building a national heroe through the cinema 
                         
		     Dr. Giorgio VespignaniHistoriador
 Bologna
 
		     Recibido el 11 de  Marzo de 2012Aceptado el 18 de  Marzo de 2012
 Resumen.            El artículo trata del camino, enteramente ideológico-político, cumplido por el cine chino del siglo XXI hacia la aceptación de la figura del héroe individual; ideológico-político porque tal aceptación pasa a través del hecho de que el luchador, el artista marcial vino convirtiéndose en ejemplo para todos los chinos.Palabras clave. Bruce  Lee, China, Artes marciales, Hong Kong.
 Abstract.The text disccuses the ideological and political process towards the construction and acceptation of the figure of the individual heroe that become common in Chinese movie productions of the XXIst Century. A pure ideological and political evolution aimed to easy that acceptation is based on making fighters, the martial artists, the heroes and models of the people. For the first time, the one-man hero, and not the people as a whole, is used as symbol contrary to former official Chinese ideological practices.Keywords.Bruce  Lee, China, Artes marciales, Hong Kong.
     1. Non si è dovuto aspettare la fine del 2010  e tutto il 2011, quando, con una serie di manifestazioni a raggio planetario,  si è celebrato il 70mo genetliaco di Li Jun Fan, in cantonese, Bruce Lee nella  versione occidentale (gli USA gli dedicheranno presto un francobollo), nato il  27 novembre 1940 nell’anno cinese del Drago (per questo soprannominato «Piccolo  Drago»), per rendergli il dovuto omaggio: a partire dal luglio 1973, quando  scomparve improvvisamente, senza soluzione di continuità, il mondo occidentale  ne celebra la figura di immarcescibile icona tra sport e pop-culture con pochi eguali attraverso la riproposizione  ininterrotta delle pochissime pellicole girate, una serie infinita di  pubblicazioni, copertine, articoli, libri, biografie, adattamenti  cinematografici della sua vita. Bruce Lee  Lives! è il titolo programmatico di una sempre rinnovata ammirazione che,  da quattro decadi, non accenna a diminuire. Nella definizione mondo occidentale andava inclusa, fino  all’anno 2000, Hong Kong, la patria di Bruce Lee, per questo vantava gelosamente  la prerogativa di conservarne la memoria -oggetto di pagine dense di lirismo di  un libro pubblicato dal Touring Club Italiano da Stefano Di Marino,  coinvolgente fin dal titolo: E nel cielo  nuvole come draghi: Hong Kong tra storia e leggenda (2006)-: l’eroe fa  capolino in ogni angolo della città sotto forma di statuette, posters, in ogni  sorta di parafrenalia, a torso nudo o con la “mitica” tutta gialla con la banda  laterale nera indossata nell’ultima pellicola girata (The Game of Death – El juego  de la muerte, 1973), metafora della liberazione spirituale da qualsiasi  schema identitario preconcetto ed imposto, rappresentato, nel campo delle arti  marziali, dal tradizionale kimono con cintura colorata. Hong Kong rappresentava  la culla del culto dell’eroe, anche se, in fondo, scorci della città appaiano  solo in Enter the Dragon, Operación Dragón, la ultima e tanto  sospirata pellicola americana girata per la Warner Bros (1973), mentre, in  precedenza, è solo evocata nelle poche parole pronunciate dall’artista marziale  Tang Lung, il «Drago della Cina», protagonista de The Way of the Dragon, El  furor del Dragón (scritto e diretto a Roma dallo stesso Lee, 1972). Ma non  importava: bastava l’icona di Bruce Lee per evocare simbolicamente Hong Kong e  vice versa, il solo nome di Hong Kong evocava inevitabilmente il personaggio di  Bruce Lee. Ma c’è di più. Hong Kong rappresenta anche la “pietra  angolare” indispensabile per comprendere a fondo la figura di un profondo e  fine studioso di filosofia, orientale ed occidentale, lettore onnivoro di  letteratura di psicologia specificatamente volta all’auto-affermazione,  instancabile studioso e riconosciuto Maestro di arti marziali, attore fin dagli  anni della adolescenza -furono proprio le performances di combattimenti marziali, strabilianti per abilità, a renderlo famoso nei  primissimi anni ’70, contribuendo a lanciare nel mondo il genere  cinematografico legato al Kung Fu e, attraverso di esso, le arti marziali come  pratica sportiva-, che lasciò un mare  magnum di testi scritti, appunti, disegni, diari e annotazioni che allievi  e amici devoti avrebbero contribuito a rendere noti leggendoli, riordinandoli e  pubblicandoli negli anni successivi, fino ad oggi. Hong Kong intorno al 1965  era una metropoli di oltre 3 milioni di abitanti: a pari merito con Pechino,  nell’area del Sud asiatico, seconda solo a Shanghai, che vantava già oltre 5  milioni di abitanti.   
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             L’essenza hongkonghese, in quanto protettorato britannico,  è indispensabile per comprendere il personaggio, figlio di attore di una compagnia  dell’opera cinese e di una sino-tedesca di osservanza cattolica, cresciuto  tutto proteso tra l’Oriente della tradizione e della cultura cinese, sopra  tutte il taoismo, colti magari attraverso la mediazione di studiosi giapponesi  (Daisetz T. Suzuki) e americani (Alan Watts), e l’Occidente trasmesso dalle  scuole inglesi o comunque europee presenti, riconoscibile nei frequenti  riferimenti a Platone, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Spinoza, Hume. Un tale mixage di cultura cinese ed occidentale  era proprio di un luogo come Hong Kong, ma tutt’altro che scontato e  comprensibile altrove, tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento. Non a caso, ad esempio, uno dei pensatori che  maggiormente influenzò il Lee-pensiero fu Jddu Krishnamurti, filosofo indiano  che conobbe gran seguito negli Stati Uniti, dove visse a partire dal 1922 e  morì (1895-1986), che sottolineava come il raggiungimento di un valore  superiore, dalla verità alla forza, alla libertà, andava ricercato non in una  scuola, metodo, né entità divina né umana (maestro, istruttore, leader), bensì  dentro di sé, rifiutando ogni forma di pensiero dogmatico, di organizzazione  religiosa o di struttura gerarchica. 2. Tutto questo contribuisce a spiegare perché Bruce Lee  non poteva essere un eroe cinese, nel senso proprio della nazione-Cina, sebbene  avesse sempre impersonato sul grande schermo irriducibili ed eroici lottatori  cinesi vincitori contro nemici “stranieri”, nel senso di estranei alla cultura  cinese (giapponesi, tailandesi, occidentali: delinquenti, sempre): Hong Kong  rappresentava, pur sempre –e lo sarebbe stata fino al 2000, anno della  “restituzione” concordata dalla Gran Bretagna alla Cina–, un imbarazzante  avamposto occidentale nel tessuto organico del Gran Dragone cinese.  Hongkonghese è la casa cinematografica proprietaria delle pellicole e dei  diritti per la loro riproduzione (in cantonese), tutta hongkonghese è la  tradizione, sempre restando nel campo del Kung Fu cinematografico, di  sfruttamento del fenomeno Bruce Lee, del resto, in quegli anni ’70 completamente  ignorato dalle produzioni cinesi (in mandarino, tra l’altro), già di per sé,  nel loro complesso, disprezzate dalla censura ufficiale del regime socialista  come fonte di «inquinamento culturale». Fino agli anni della grande esplosione verso l’Occidente,  la cultura cinese, attentamente sorvegliata dalle autorità, fatica ad accettare  figure di eroi solitari quali quelli impersonati da Bruce Lee, sebbene di  estrazione popolare e generosamente tesi al bene degli altri, il villaggio, la  Scuola di arti marziali, parenti ed amici. Le stesse arti marziali,  costituivano la base della formazione della collettività, o dell’individuo  inteso come parte, in armonia, della collettività, secondo le direttive di un  Programma Nazionale stilato dal Governo della Repubblica Popolare con pedante  artificiosità ma, soprattutto, gran decisione nel sapere quali risultati  raggiungere. La maggior confidenza acquisita colle idee “occidentali”,  una volta permessa la loro circolazione in Cina, ha, infine, aperto la strada  alla accettazione della figura dell’eroe. In questo processo, alcune pellicole  presentate e distribuite anche in Occidente, segnano tappe fondamentali. Alla  fine del Novecento, la trilogia Once upon  a Time in China presenta le gesta del leggendario artista marziale Wong  Fei-Hung (interpretato da Jet Li) contro le armi da fuoco e l’arroganza degli  occupanti stranieri della Cina tra Ottocento e Novecento, che ne faranno un  eroe nazionale. Quindi tre produzioni Hong Kong/Cina, ricche di stars di quei  panorami cinematografici: nel 2002, Hero,  firmato da colui che è considerato il regista cinese “di stato” per eccellenza,  Zhang Yimou, nel 2008, Fearless, firmato da Ronny Yu, e Ip Man, di Wilson Yp, presentano tutte le imprese di  maestri di arti marziali che mettono la loro abilità al servizio di un grande  ideale nazionale e popolare. 
 Hero (Zhang Yimou, 2008) © Sony Pictures. In Hero,  ambientato nel III secolo a.C., l’eroe spadaccino lotta a favore della nascita  di un unico grande impero cinese, combattendo ogni divisione e particolarismo  («… il suo coraggio unirà un popolo … sotto un unico cielo»). Fearless, ambientato ancora nella  Shanghai degli anni ’20 del Novecento occupata dagli stranieri (giapponesi ed  europei: topos già ripreso anche da  Bruce Lee), è la storia romanzata del Maestro Ho Juanjia, figura sospesa tra  realtà e leggenda che, fondando una palestra di Kung Fu aperta a tutti i  concittadini cinesi saprà risvegliarne la dignità e l’orgoglio vilipesi.  L’ultimo caso rappresenta la biografia di Ip Man, Maestro del Kung fu nello  stile Wunshu, questa volta una figura reale, tanto che aprirà una scuola a Hong  Kong dopo la guerra e sarà maestro dello stesso Lee, ugualmente eroico nello  scuotere un popolo cinese annichilito dalla brutale repressione dei giapponesi  durante la occupazione, questa volta nella città di Foshan, rendendolo,  attraverso la pratica delle arti marziali, «finalmente unito». Qui, la  eccellenza cinese è rivendicata orgogliosamente quando un generale giapponese  ordina al Maestro di insegnarli i segreti del Kung fu cinese, pena la perdita della  vita: non potrete apprenderli, risponde Yp Man, essendo incompatibili col  vostro essere. Per i cinesi le arti marziali rappresentano il fondamento per  esprimere la eccellenza del loro millenario spirito, per i giapponesi solo  strumento di violenza e brutale uso della forza. Autocoscienza nazionale e  propaganda. 3. Quando Hong Kong entrò definitivamente  a far parte del territorio della Repubblica Popolare Cinese, il terreno per  accogliere la figura di Bruce Lee e proiettarla al livello, una volta “riabilitata”  e fatta oggetto dei necessari interventi e aggiustamenti, di eroe nazionale  cinese era dunque ben preparato. Nel 2005, la stessa Hong Kong gli dedicò una  statua alta più di 2 metri in Avenue of the Stars, proprio davanti alle acque  della baia dove si specchiano le mille luci dei grattacieli che oggi ci  appaiono come il simbolo delle ambizioni del gigante asiatico. Nel 2008, in coincidenza con la grande vetrina mondiale  dei Giochi Olimpici di Pechino, la rete di stato cinese (CCTV) ha prodotto una fiction composta da cinquanta puntate di  circa 40’ l’una (per un totale di oltre 30 ore di trasmissione! in Cina la  serie è ancora disponibile in DVD) trasmesse in prime time, lì definita «ora d’oro» (dalle 18.00 alle 22.00), sulla  vita di Bruce Lee, intepretato da un verosimile (somaticamente, ma non certo  come atleta) Danny Chan Kwok Kuan, chiamata (in inglese) The Legend of Bruce Lee, subito acquistata da numerosissime  televisioni occidentali che l’hanno proposta in versione fortemente ridotta. 
 The Legend of Bruce Lee (Li Wen Qi, 2008), © China Central Television. Ciascuna puntata  è aperta da una colonna sonora, cantata in inglese, il cui refraine suona From the  chinese hills and shores,/ we still  listen the Bruce Lee battle call/ Bruce  Lee, Bruce Lee! A proposito di “aggiustamenti”: in primo luogo, Hong Kong  è scomparsa! Sia nella prima parte, quella che riguarda la formazione del  futuro eroe cinese, che nell’ultima, corrispondente agli ultimi del  protagonista, la città è sostituita da scorci di luoghi indistinti a  rappresentare la casa della famiglia, la scuola, la scuola di arti marziali, un  locale per giovani; mai appaiono la famosa baia pullulante di imbarcazioni di  ogni foggia e dimensione, mai lo skyline dei grattacieli che vi si specchiano, mai le alte colline verdi sullo sfondo.  Appaiono una confortevole casa, gli studi della casa cinematografica, il set cinematografico, locali di  ristoranti, altre case. L’eroe si muove al centro di un indefinito mondo cinese  attorno al quale ruotano tutti gli altri mondi; le sue gesta svelano la  superiorità morale e di azione cinese nei confronti degli stranieri.  Emblematica la instancabile e vittoriosa lotta condotta dall’eroe per imporre  la superiorità delle arti marziali cinesi su tutte le altre: dopo ore di  combattimenti e monologhi dimostrativi (l’uno e l’altro finiscono per vincere  uno sfinito spettatore), nessuno dubiterà più della universale validità del  Kung Fu cinese. 
 The Legend of Bruce Lee (Li Wen Qi, 2008), © China Central Television. In secondo luogo, l’apporto della cultura americana,  fondamentale per la formazione del personaggio Bruce Lee, è azzerato. Gli amici  degli anni di San Francisco e Oakland, diventano semplici comparse e spettatori  delle vicende delle quali Bruce Lee finisce per essere unico protagonista,  quando, come nel caso dei produttori di Hollywwod, infidi e vacui mestieranti,  sono capaci solo di promettere senza saper cogliere la grande occasione che gli  si era presentata, quella di valorizzare il giovane cinese. In conclusione, debitamente rimodellata, trasformata  nelle forme e nei contenuti e proiettata su uno sfondo atemporale, la vicenda  storica di Bruce Lee diviene mitica ed elevata a sintomatica della universale  eccellenza cinese: perfetto eroe nazionale. From the chinese hills and shores,/ we still listen the Bruce Lee battle call/ Bruce Lee, Bruce Lee!   Per chi volesse approfondire I libri su e di Bruce Lee in tutte le lingue occidentali sono  numerosissimi. In spagnolo, tra gli altri (Dojo Ediciones, Madrid, La esfera de  los Libros Editorial, Murcia), per come coniugano bibliografia, analisi della  cultura contemporanea e del Bruce Lee-pensiero e filmografia, sono fondamentali  i due volumi di M. OCAÑA RIZO pubblicati per T&B Editores di Madrid nel  2010: Bruce Lee. El hombre detrás de la leyenda,  giunto alla 3ª edizione aggiornata, e Bruce Lee. El guerrero del bambú.Sulle produzioni cinematografiche cino-hongkonghesi citate,  vd. , in italiano, l’interessante e ricco di informazioni libro di S. DI MARINO, Dragons Forever. Il cinema di  azione e di arti marziali, Milano, Alacran Ed., 2007, poco attento però agli  aspetti politico-ideologici dei nuovi eroi cinesi del 2000.
 Tra i numerosi saggi sulla cultura nazional-popolare  cinese odierna, sono interessanti le note di viaggio e le riflessioni di GABI  MARTÍNEZ, Lo mares de Wang. La  costa china,  Madrid, Alfaguara, 2008: Hong Kong è alle pagg. 350-393.
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